American Trip – Day 7

Sveglia alle 8:00, colazione da StellaDollari e ritorno in camera per sistemare la valigie e fare il check-out. Questo Dunes Inn, per quanto modesto, non ci è dispiaciuto. Ripartiamo alla volta di Santa Monica dove ci fermiamo per un’oretta ad ammirare l’Oceano e il famoso molo che ospita la fine della magica Route 66. Scaduto il parcheggio ripariamo con l’idea di pranzare a Newport ma, una volta arrivati a Orange County capiamo che un quarto di dollaro per dieci minuti di parcheggio non ci lascia abbastanza tempo. Ci limitiamo allora a salire sul molo reso famoso dalla serie televisiva “OC”. Purtroppo di Summer Roberts nemmeno l’ombra. Questa volta la destinazione è quella finale: il numero 1 di Park Avenue in San Diego. Arrivati in città dopo un po’ di traffico scopriamo che la zona di Downtown è praticamente chiusa e siamo costretti ad una deviazione. Dopo qualche minuto arriviamo al bellissimo hotel Hilton in cui facciamo il check-in intorno alle 16:00. Dopo esserci rinfrescati usciamo con l’idea di una passeggiata per il centro, quando capiamo che da lì a pochi minuti sarebbe iniziata una partita di baseball nello stadio a pochi passi dall’hotel. Qualche istante di consulto e decidiamo che l’occasione è unica: tre ticket per 13$ ciascuno con cappellino dei Padres incluso. Eccoci sugli spalti per la nostra prima partita di baseball dal vivo! Il clima allo stadio è bellissimo, con tantissime famiglie con bambini al seguito. Bastano pochi minuti per capire che anche in questo frangente agli americani piace esagerare: l’inno cantato live, suoni tipici ad ogni momento e spettacoli pirotecnici con fuoco aggiunto ad ogni HomeRun. Poco prima della fine della partita abbandoniamo lo stadio (per evitare la coda) e torniamo all’hotel (e che hotel!) dove troviamo un locale in cui ceniamo con soddisfazione. Ed eccoci alla metà esatta del nostro American Trip.

[Omnia / Luca Zaccaro]

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American Trip – Day 6

Sveglia alle 7:45, camminata verso Hollywood Boulevard e colazione, indovinate un po’, da Starbucks. Diamo un’occhiata al pavimento dove le Star più famose hanno lasciato le impronte di mani e piedi e poi prendiamo la metro in direzione North per arrivare agli Universal Studios. La metro (http://www.metro.net) costa 1,50$ a corsa ed è molto ben curata. Tornati in superficie, alla fermata di Universal City, aspettiamo lo Shuttle gratuito che ci porta all’ingresso del parco. Qui esibiamo i nostri ticket acquistati online presso http://www.universalstudios.com. Ci sono tre tipi di biglietto: quello normale, il Front Of Line e il VIP. Vi consigliamo caldamente, a 119$, il secondo in quanto vi permetterà di saltare la fila all’ingresso e di utilizzare vie (molto) preferenziali per l’accesso alle attrazioni e ad alcuni speciali. Le attrazioni che troverete all’interno degli Studios sono il tour guidato per i vari set con esperienze dal vivo e proiezioni in 3D, le montagne russe simulate dei Simpson (in cui viene proiettato un video 3D e vengono riprodotti i movimenti del vagone), il tour acquatico di Jurassic Park, le (brevi ma intense) montagne russe de “La Mummia”, la House of (poco) Terror, il live show di Waterworld, uno show degli animali-attori, una proiezione di Terminator 2 in 3D e una dimostrazione dal vivo degli effetti speciali utilizzati nei film. Usciamo abbastanza stanchi dagli studios verso le 19:15 e ripercorriamo a ritroso il percorso, scendendo questa volta alla fermata della Metropolitana di Hollywood/Western. Al ritorno ci fermiamo a cenare da Deny’s, il tipico locale “tavola calda” americano aperto 24/7, nel quale facciamo amicizia con un cameriere che, capita la nostra passione calcistica per la Juventus, se ne esce con un “ah, Juventus…Mafia!”. Direi che anche per oggi è abbastanza.

[Omnia / Luca Zaccaro]

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American Trip – Day 5

Sveglia alle 7:00 e classica colazione. Poi torniamo in albergo a sistemare i bagagli e scendiamo per il check-out. Alle otto e mezza siamo in strada verso Los Angeles. Qui confermiamo quanto abbiamo detto in precedenza: se riuscite portatevi il vostro navigatore con le mappe americane perché questo Garmin in dotazione si “perde” troppo spesso. L’uscita da San Francisco è un po’ trafficata e complicata ma una volta fuori dalla grande città vi ritroverete nel nulla assoluto. Sulle strade (una Interstate nel nostro caso) troverete delle Rest Zone dove andare in bagno e delle aree di sosta in cui potrete acquistare cibo e fare benzina. I turisti, sprovvisti di uno ZIP code, devono entrare nell’area di servizio e comunicare al cassiere l’entità del rifornimento. A questo punto la pompa verrà sbloccata e sarà possibile procedere. Visto che siamo sull’argomento volevamo fare una piccola parentesi sul discorso strade: rispettate i limiti e il codice stradale perché abbiamo letto (e per fortuna non provato) che le forze dell’ordine sono intransigenti. Nel caso in cui una pattuglia dietro di voi dovesse accendere i lampeggianti o richiamarvi con il megafono accostate appena potete (a meno di istruzioni diverse) e tenete le mani sul volante e non provate a scendere dall’auto. Anche durante questo rifornimento, così come in tutti questi giorni, ribadiamo che la gente del posto è davvero cortese e disponibile nei confronti di noi poveri turisti sperduti. Arriviamo a Los Angeles intorno alle 15. La città è davvero immensa come la descrivono, per farvi un idea la freeway in ingresso è dotata di 8 corsie per senso di marcia! L’hotel è subito fuori dalla Interstate 5. Parcheggiamo, lasciamo i bagagli in camera e dopo una breve rinfrescata siamo subito in strada. Dopo una breve passeggiata per Sunset Boulevard e per la Hollywood capiamo subito che in questo modo, con così poco tempo a disposizione, non andremo lontano. Ci fermiamo da McDonald’s a mangiare un panino (erano le 16:30 e la gente in America mangia davvero a qualsiasi ora) e poi decidiamo di acquistare, a caro prezzo (44$) lo ammettiamo, i biglietti per un tour “classico” su BUS cabrio, della zona maggiormente conosciuta di Los Angeles. In questo modo riusciamo a vedere, anche solo di sfuggita, molte cose in poco tempo. Le vie più famose, i grattacieli, la zona di Beverly Hills e le strade della grande moda. C’è poco da dire. Questa città non ha niente da spartire con San Francisco. Pur essendo due città bellissime non c’è nulla che le accomuni, eccetto la gentilezza e la disponibilità delle persone. Stanchissimi (e saziati dal panino mangiato a metà pomeriggio) torniamo in camera per lavarci e andare a dormire intorno alle 23:00.

[Omnia / Luca Zaccaro]

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American Trip – Day 4

Sveglia alla solita ora, colazione e CableCar fino a Powell Station. Da qui prendiamo il Bus numero 5 che ci porta al Golden Gate Park, una sterminata distesa di verde più grande di Central Park a NY. Il parco è impossibile da visitare nella sua interezza, ma sappiate che al suo interno ci sono parchi, musei e mostre a pagamento. Torniamo stanchissimi al Pier 39 e decidiamo di pranzare all’Hard Rock Cafè. Il posto è bellissimo e si mangia davvero bene. Preparatevi però perché il conto sarà abbastanza salato. Dopo pranzo acquistiamo la classica maglietta dell’ HRC San Francisco e rientriamo in albergo per una breve sosta. Usciamo a piedi e “scaliamo” di nuovo (ma questa volta senza macchina) la Lombard Street per smaltire il grande panino appena digerito. In cima prendiamo un CableCar che ci porta a ChinaTown. Personalmente a chi scrive il quartiere non è che faccia impazzire ma non si può dire che non sia caratteristico. Abbastanza stanchi torniamo “a casa” ma ci rendiamo conto che sono già quasi le otto. Ci dirigiamo quindi immediatamente da Tony’s a Little Italy che questa volta è aperto. Il posto è piccolissimo e non accetta prenotazioni. Ci “annunciamo” all’ingresso e ci viene chiesto di aspettare 45 minuti. Dalla folla presente decidiamo che l’attesa sarà ben ripagata e aspettiamo con pazienza il nostro turno. Ci sediamo al tavolo e ordiniamo la “classica margherita napoletana”. Dovete aver fortuna perché, data la rarità degli in gradienti importati ne vengono sfornate solo 73 al giorno. Anche qui i prezzi sono abbastanza alti ma la pizza valeva ogni singolo centesimo speso. Approfittiamo per mettervi in guardia su un luogo comune: si dice che in America, vista la debolezza del Dollaro, tutto costi pochissimo per noi europei. Beh, non è così! Domani si parte quindi, alle undici e mezza circa, decidiamo di ritirarci in albergo e andare a dormire. Domani ci aspetta il viaggio verso Los Angeles!

[Omnia / Luca Zaccaro]

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American Trip – Day 3

Sveglia alle 7:30 e colazione da Starbucks. Finalmente un po’ di sole. Forse non ve l’abbiamo ancora raccontato ma San Francisco è una città davvero fredda (15 gradi in media a Giugno) e il vento soffia forte. Ci “arrampichiamo” fino alla Coit Tower, una torre da cui si può godere di una bella vista sulla città. L’apertura ai turisti è alle 10 del mattino e il biglietto dell’ascensore costa 5$. In effetti dall’alto la vista è carina e direi che i 5$ sono stati ben spesi. Scendiamo e ci dirigiamo a piedi verso il centro, passando per la St. Paul & Peter e la Grace Cathedral. Arriviamo in Union Square e ci godiamo per un po’ il panorama. Decidiamo di pranzare da Cheescake Factory all’interno di Macy’s. Potete scegliere se stare all’interno o all’esterno (con vista sulla piazza). Nota a margine: in America l’acqua al tavolo è gratuita e il cameriere vi riempirà il bicchiere ogni volta che questo si svuota. Non fatevi fregare (come noi, questa prima volta) ordinando acqua in bottiglia. Torniamo in Hotel con il CableCar e prendiamo la macchina. Destinazione Golden Gate. Il pedaggio è di 6$ solo al ritorno (al rientro in città). Una volta superato la prima volta il ponte è possibile sostare in un’area panoramica da cui ammirare un panorama davvero unico: ponti, grattacieli, oceano (e l’isola di Alcatraz). Mica male! Per la sera decidiamo di provare Tony’s Napolitan Pizza (una pizzeria molto consigliata) a Little Italy. Arriviamo e scopriamo che lunedì e martedì sono giorni di chiusura. Poco male, entriamo da PantaRei e ceniamo senza infamia né lode in un locale di italiani che (con noi) parlano in italiano. Questa sera fa davvero freddo e il rientro in Hotel sembra lunghissimo. Proviamo anche ad infilarci in un pub ma decidiamo di non tentare la fortuna (l’ambiente non era un gran che..). Tempo di segnare qualche nota su questa guida e crolliamo sul letto. Buonanotte!

[Omnia / Luca Zaccaro]

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American Trip – Day 2

La sveglia squilla alle 7:30. Ci vestiamo e iniziamo la nostra prima giornata negli States nel modo più classico che esista: colazione da Starbucks! Non sapete dove cercare? Non vi preoccupate, di norma ne troverete uno ogni 50 metri. Le cameriere sono davvero gentili e per qualsiasi cosa prendiate vi faranno mille domande (grandezza del bicchiere, tipo di latte ecc..). “Normal” è stata la nostra risposta-tipo. Ecco, ora siamo seduti al tavolo con il classico contenitore gigantesco per il caffè. Ovviamente il contenuto è parecchio diluito e davvero caldo. Meglio farci l’abitudine. Come già avevamo letto qui c’è la connessione Wireless gratuita e non serve alcuna tessera per l’accesso. Ci dirigiamo ora (sotto una simpatica pioggerellina) verso il Pier 33, da dove partono i traghetti che portano i turisti verso “The Rock”, l’isola-carcere di Alcatraz. Un consiglio, fate come noi e acquistate i ticket a 27$ direttamente on-line dal sito http://www.alcatrazcruises.com, vi verrà inviata una email contenente il PDF con i biglietti veri e propri. Apriamo una parentesi: se vi è possibile acquistate sui siti americani utilizzando carte di credito o prepagate del circuito VISA. Ci è capitato che la MasterCard non venisse accettata. All’ingresso troverete la coda e l’indicazione dell’ora di partenza. Mettetevi in coda quando l’ora di partenza è quella stampata sul vostro biglietto. Salite sul traghetto e andate all’aperto, poi mettetevi il k-way perché il vento è davvero forte. In 12 minuti siamo sull’isola. Qui potete incamminarvi in salita verso le celle e all’intero partirà il percorso guidato che potete seguire con l’audioguida in italiano che vi verrà consegnata. Il tour dura poco più di una mezzora. Al termine potete decidere di visitare ancora un po’ l’isola oppure tornare subito al traghetto che vi riporterà a San Francisco. Una volta a terra andiamo a visitare di giorno la zona del Pier 39. Le nostre prime impressioni sono confermate: è una zona bellissima, tutta in legno con tanti negozi e un sacco di gente in giro a passaggio (e una colonia di leoni marini spiaggiata sulle banchine). Ci fermiamo a mangiare nel classico “Burger” dove ci vengono serviti panini, patatine, ketchup, senape a volontà e una Corona fresca. Apriamo una piccola parentesi: in America la mancia è obbligatoria. Quando vi verrà portato il conto dovrete consegnare la carta di credito oppure dire che volete pagare “Cash”. Il vostro cameriere vi riporterà indietro un secondo scontrino con il totale della consumazione sommato alle tasse e due spazi bianchi dove inserire l’entità della mancia e il “Grand Total”. Di solito ad un servizio di qualità va corrisposta una “Tip” del 15-20%. Tornando verso l’albergo ci fermiamo da Wallgreen e acquistiamo 3 MuniPassport a 20$ ciascuno. Questi pass sono validi 3 giorni e vi permetteranno di salire su tutti i mezzi di trasporto pubblico (compresi i famosissimi CableCar). Ed infatti eccoci subito al capolinea di questo straordinario mezzo di trasporto: il vagone arriva, l’assistente di corsa scende e fa ruotare il meccanismo a terra in modo da immettersi sui binari di andata. Saliamo a bordo e scopriamo il lavoro del ”GripMan”: maneggiare gigantesche leve che permettono al CableCar (collegato a grandissimi tiranti sotterranei) di muoversi agilmente in questa tortuosa città. Il “Gripman” sarà anche la vostra guida turistica durante tutto il viaggio. Il bello di questo mezzo di trasporto è quello di aggrapparsi ai pali e godersi il viaggio “dall’esterno” (come “Standees”). Arriviamo a Powell Station e iniziamo il nostro giro per Market Street, la strada più centrale e commerciale di San Francisco. Qui troverete negozi di ogni genere. Nota di merito all’Apple Store con musica dal vivo. Downtown è davvero bella, essere circondato da grattacieli altissimi e strade che si perdono in salita e discesa è una emozione davvero unica. La coda per tornare a Fisherman’s Wharf è abbastanza lunga ma grazie soprattutto al grandissimo senso di rispetto che respira da queste parti scorre veloce. A questo punto prendiamo la macchina e ci facciamo un giro per le vie della zona. Impossibile non essere trascinati in cima a Lombard Street per provare l’emozione di scendere in macchina per quei fantastici 5 tornanti in cima al mondo. Passa così un’altra oretta tra i numerosi su e giù che San Francisco offre. Tornati in Hotel decidiamo (in verità contro parecchi pareri negativi di Foursquare) di provare Hooters, il caratteristico locale americano con le cameriere provocanti. Beh, i commentatori avevano ragione: le cameriere sono sì carine e simpatiche, ma il servizio e il cibo lasciano un po’ a desiderare. Poco male, ormai si è fatto tardi e il nostro primo giorno da turisti è finito.

[Omnia / Luca Zaccaro]

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American Trip – Day 1

La sveglia suona molto presto. Sono le 3:50 (ora italiana). La valigia e il bagaglio a mano sono pronti già da ore. Finalmente il giorno della partenza è arrivato. I tre giovani italiani alla conquista della West Coast! Alle 5:00 siamo a Malpensa ad aspettare il check-in. Voliamo con AirFrance che ci porta prima a Charles De Gaulle e poi, dopo uno scalo di un paio d’ore, a San Francisco. Scopriamo che con questa compagnia il check-in si può fare on-line (o comunque va effettuato dalle macchinette automatiche in aeroporto). Per quanto riguarda il bagaglio i limiti imposti sono 23 kg e una misura di altezza, larghezza e profondità che non superi i 158 cm. Il bagaglio a mano (a patto che sia al massimo uno zainetto) non vi creerà problemi. Sappiate infine che nel caso di due voli con la stessa compagnia con uno scalo in mezzo (solo se effettuato in Europa, se in USA dovranno fare dogana e quindi dovrete dirigervi al “baggage claim”) i vostri bagagli saranno trasportati automaticamente sul secondo aereo. Alle 7:00 siamo sull’aereo, dopo aver affrontato il classico controllo al metal detector per le persone e ai raggi X per gli accessori (è possibile che vi perquisiscano ma si tratta di una procedura assolutamente professionale). Ricordatevi di riporre sul carrellino dei raggi X il bagaglio a mano, eventuali cellulari/portafogli ecc e, fuori dal bagaglio a mano, tutti i dispositivi elettronici (anche i semplici caricabatteria). Il volo parte con qualche minuto di ritardo ma l’arrivo a Parigi è puntuale. Sono le 8:40. L’aeroporto francese è abbastanza grande ma non farete nessuna fatica ad identificare il giusto Gate dato che di norma si trova nello stesso terminal. Dopo un controllo del passaporto, una breve attesa e una mezzoretta di ritardo saliamo sul volo a lunga tratta che ci porterà negli States. L’apparecchio ha poco da spartire con quello usato per il primo volo. È davvero enorme, con molti più posti ed ogni sedile offre al passeggero uno schermo a colori e una presa per le cuffie per riprodurre i contenuti multimediali offerti dalla compagnia o per seguire in diretta lo stato del volo. Dobbiamo dire che il personale di bordo è davvero disponibile e cordiale. Se siete diretti in America vi verrà consegnato un foglio blu del dipartimento dell’immigrazione che dovete compilare con alcuni dati personali, il numero di passaporto e alcune informazioni sul vostro viaggio. Tenete con cura questo foglio e non commettete errori nel compilarlo. Vi servirà una volta arrivati a destinazione! Il volo parte alle 11:10 e, sembrerà banale, ma è davvero lungo. Dormire non è semplicissimo (né comodissimo) ma di certo non impossibile. Durante le 11 ore di traversata vi verranno serviti due pasti mediocri e sarà messa a disposizione una sorta di “area self-service”. La cosa che abbiamo trovato strana è la rotta: da Parigi siamo saliti in Inghilterra, in Irlanda e in Islanda, poi abbiamo sorvolato la Groenlandia per poi puntare verso San Francisco arrivando da nord. Non abbiamo capito se è il percorso standard o se ci sono state delle deviazioni. Atterriamo sul suolo americano alle 13:40 ora locale. San Francisco ha un fuso orario di nove ore indietro rispetto all’Italia. L’aeroporto di SFO è davvero carino, ma prima che riusciate ad imboccare l’uscita dovrete superare indenni le innumerevoli barriere della sicurezza: al timbro del Passaporto vi verranno poste alcune domande e vi verrà chiesto di lasciare le impronte digitali di entrambe le mani nonché una foto del vostro viso. Dopodiché, se siete fortunati come noi, vi verrà richiesta per ben 3 volte la carta blu che avete compilato sull’aereo. Attendete per qualche minuto l’arrivo dei vostri bagagli che, sempre se siete fortunati, verranno di nuovo ispezionati. Ricordate: non è ammesso portare cibo dentro gli Stati Uniti. A questo punto ce l’avete quasi fatta! Saliamo di un paio di piani e prendiamo il trenino elettrico che circumnaviga l’aeroporto fino ad arrivare alla zona dei noleggi di macchine. La nostra compagnia e Dollar e l’auto è una Dodge Charger molto carina, spaziosa e confortevole. Sistemate le formalità burocratiche ci vengono consegnate le chiavi. Ricordate, fate sempre una buona assicurazione (se ne prendete una all-inclusive rifiutate qualsiasi altra cosa che puntualmente vi viene proposta al ritiro della macchina) e noleggiate il navigatore (o portatevi il vostro, ve lo consigliamo!). Ora siamo liberi. La strada verso il primo albergo non è lunghissima ma passa per il centro della città e ci permette di dare una prima “sbirciata” a Downtown. Il cambio è automatico e guidare qui è più semplice che in Italia, a patto di ricordare un paio di cose: in genere agli stop ci si ferma sempre e si da la precedenza a chi arriva per primo (spesso negli incroci non ci sono linee che delimitano lo STOP, fermatevi un metro circa prima dell’incrocio per dare la possibilità ai pedoni di fermarsi), se non è esplicitamente vietato è possibile svoltare a destra con il semaforo rosso controllando prima che non arrivi nessuno, rispettate sempre i pedoni e i passaggi pedonali perché qui lo danno per scontato. Arriviamo all’ Holiday Inn al 1300 di Columbus Avenue, effettuiamo il checkin e chiediamo il parcheggio riservato per tutti e quattro i giorni (40$ al giorno). L’hotel è carino e la camera è spaziosa (ma bisogna aprire un po’ le finestra). Qui, come in tutta l’America, utilizzano prese diverse dalle nostre e anche i valori della corrente sono diversi: assicuratevi che gli apparecchi che volete portare supportino i 110V a 50 Hz. Se non fosse così dovrete acquistare un trasformatore, mentre in caso contrario basta un comunissimo adattatore. Tempo di sistemare i bagagli e usciamo per dare un’occhiata alla zona del Pier 39 di sera. La prima impressione è di una zona davvero carina, proprio come viene sponsorizzata. Decidiamo di cenare da Boudin, lo specialista del pane. Un consiglio: evitate i sandwich e puntate sulle zuppe servite all’interno della caratteristica forma (una fra tutte Clam Chowder Bread Bowl). Lo ammettiamo, siamo stanchi e fa abbastanza freddo. Torniamo in albergo e andiamo a dormire.

[Omnia / Luca Zaccaro]

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Stager no more (?)

Sei mesi possono anche non sembrare nulla. Ma sei mesi possono anche portare così tanti cambiamenti da ritrovarti alla fine a chiederti quanto tu stesso sia cambiato. Sei mesi fa (a settembre, in realtà) mi ributtavo sui libri dopo neanche due settimane di stacco con il pensiero nervoso che per colpa di una cattiva calendarizzazione degli esami non sarei riuscito a laurearmi a settembre, in anticipo di qualche mese rispetto alla tabella di marcia. Poi c’è stato il penultimo esame (il solito, grazie) concluso come sempre sul filo del rasoio e senza potermi sbilanciare sull’esito. Ed infine arriva il 13 settembre, le 12 e 30: finiva l’ultimo esame. Sapevo di averlo superato, ma ero contento soprattutto per l’esito del precedente. E forse qualcuno sa anche il perché. Domenica 19 settembre. Ore 01:30 AM. Tornato a casa dalla serata vedo pubblicati i risultati dell’ultima “fatica”: 21. La testa diventa leggera per un istante. Non è colpa del Negroni. “Sono un laureando”. Dopo una settimana di meritato puro cazzeggio mi metto alla ricerca di un lavoro. Mi viene offerto un posto da stagista come sviluppatore .Net. Se non era esattamente quello che stavo cercando poco ci mancava. Accetto immediatamente, faccio il colloquio ed ecco che iniziava l’avventura che mi ha tenuto impegnato per tutti questi mesi. Ho potuto conoscere una azienda che crede nei giovani, che si impegna a formarli nell’ottica di trasformarli in una risorsa e non in quella di sfruttarli per qualche mese. Ho lavorato spalla a spalla con colleghi molto più esperti di me che però non hanno mai rifiutato una richiesta di aiuto o un semplice consiglio da parte di un novizio. Insieme (ma soprattutto grazie) a loro sono cresciuto. Ho studiato, ho sperimentato e alla fine posso dire di aver imparato a lavorare con il Framework .Net. Poi è arrivato il 2011 e, come forse sapete, ho portato a termine con successo il percorso universitario: il 21 febbraio mi sono laureato in Ingegneria Informatica. Maledettamente in corso. Tempo di riposarmi qualche ora ed eccomi di nuovo alla mia vita da Stager. Passano le settimane e continuo ad imparare. Da moduli separati inizio a sviluppare parti integranti del progetto. Ho capito cosa vuol dire lavorare in un gruppo. Fare in modo che il proprio lavoro possa integrarsi al meglio con codice scritto da chi ha dieci anni di esperienza in più di te è una sfida che ti insegue 24 ore al giorno: al lavoro quando programmi e a casa quando pensi a come programmare. Sai che un tuo errore può intralciare il lavoro di tutti. Ma è così che si impara. Ora ho finito questa avventura. Ho fatto tanti errori e il più delle volte ho capito dove sbagliavo e mi sono corretto. Ho fatto tante domande e ho appuntato gelosamente le risposte. Ho dato il massimo ed in fondo credo di aver fatto abbastanza bene. Non credo che un contratto si offra a cani e porci di questi tempi. Ma il bello inizia solo adesso: tra pochi giorni partirò per godermi il mio meritatissimo viaggio di laurea negli States. 15 giorni On the Road sulla West Coast. Al mio ritorno, se tutto va bene, ci sarà un lavoro ad attendermi. Voglio ringraziare sin da ora tutte le persone che mi sono state accanto in questi lunghissimi sei mesi, tutte quelle che consapevolmente o meno mi hanno fatto crescere. E non parlo solo dell’ambito lavorativo. Alla fine quando vivi per 10 ore al giorno insieme alle stesse persone per così tanto tempo non entra in gioco solo la sfera lavorativa.

Grazie a tutti, mi avete regalato i sei mesi più intensi e più ricchi di soddisfazione della mia vita. E, se non vi dispiace, non ho intenzione di fermarmi. Sono solo all’inizio.

Time to go now..

[Omnia / Luca Zaccaro]

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Sistemi Operativi: Maggio 2011 e trend futuri

Nuovo appuntamento con le statistiche di utilizzo di Sistemi Operativi e Browser, grazie ai dati forniti da NetMarketShare.
Parlando di sistemi operativi Windows, le aspettative per questo mese erano: Windows Xp al 52,25%, Windows 7 al 26,38% e Windows Vista al 9,74%.
I dati di NetMarketShare offrono questi dati: Windows Xp al 52,41%, Windows 7 al 25.89% e Windows Vista al 9,93% (per la prima volta sotto la soglia critica del 10%).
Le mie previsioni per il mese di Giugno sono: Windows Xp al 51,49%, Windows 7 al 27,13% e Windows Vista al 9,46%.
Quanto ai prossimi “traguardi storici” Windows Xp scenderà sotto il 50% nel mese di Agosto 2011 e il sorpasso Windows 7 > Windows Xp avverrà durante il mese di Giugno (e non più Maggio) 2012. Durante il mese di Dicembre 2012 Windows 7 sarà installato su quasi la metà dei PC al mondo e Windows Vista “scomparirà” del tutto dopo il mese di Dicembre 2012.
Analizzando i dati delle ultime due edizioni di Mac OSX (10.6 e 10.5) notiamo che la prima guadagna lo 0,02% (3,67%) mentre la seconda perde lo 0,06% (1,24%) e viene superato dal SO di iPhone.
In generale i dati sui sistemi operativi sono i seguenti:
Microsoft Windows: -0,22% (88,69%)
Apple Mac OSX: -0,02% (5,32%)
Quanto ai browser web, ricordando che il nuovo Internet Explorer 9 è INCOMPATIBILE con il vecchio Windows Xp (al contrario di Chrome 11 e Firefox 4), i dati sono i seguenti:
IE9: +1,78% (4,19%)
IE8: -1,78% (31,28%)
IE7: -0,31% (7,04%)
IE6: -0,49% (10,36%)
FF 4.0: +6,63% (10,08%)
FF 3.6: -4,38% (9,14%)
FF 3.5: -0,20% (1,38%)
Chrome 11: +9,23% (9,73%)
Chrome 10: -8,71% (1,20%)
Chrome 9: -0,06% (0,26%)
Safari 5: +0,19% (4,74%)
Opera 11: -0,04% (1,61%)
Nota: per IE, data la sua diffusione anche in ambito aziendale, sono riportati anche i dati di IE 6. Per Firefox e Chrome, SOLO PER QUESTO MESE, sono indicati i dati delle ultime TRE versioni definitive. Per Safari e Opera viene considerata solo l’ultima versione disponibile in versione definitiva. Queste decisioni sono motivate dal fatto che, per quanto riguarda Firefox, Chrome, Safari e Opera si suppone che l’utente medio sia più portato ad aggiornare il proprio browser all’ultima versione rispetto all’utente medio che utilizza Internet Explorer.
In generale i dati sui browser sono i seguenti:
MS Internet Explorer: -0,84% (54,27%)
Mozilla Firefox: +0,08% (21,71%)
Google Chrome: +0,54% (12,52%)
Apple Safari: +0,13% (7,28%)
Opera: -0,11% (2,03%)

[Omnia / Luca Zaccaro]

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